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5 gen 2024

Lo sdegno contro il wokismo delle Università USA

Come è noto l'audizione al Congresso delle presidenti (tutte donne) di tre prestigiose Università americane, Harvard, MIT e University of Pennsylvania, incalzate dalla deputata repubblicana Elise Stefanik, ha scatenato un moto di indignazione in America e ha messo stimolato uno scrutinio pervasivo della degenerazione diffusasi nei campus americani. Il rifiuto di tutte e tre le Presidentesse di condannare le manifestazioni dominate da un antisemitismo nemmeno troppo latente, con il pretesto della libertà di parola ha messo a nudo l'involuzione in atto nell'Accademia americana dove dominano il wokismo e la cancel culture.



Finalmente i donatori si sono svegliati e hanno cancellato donazioni per cifre astronomiche. La migliore strategia per contrastare questa involuzione consiste nel colpire le istituzione dove fa più male: nel conto in banca. UPenn ha ceduto e ha licenziato sia la Presidentessa che altri personaggi coinvolti nella gestione. Harvard invece ha inizialmente confermato la fiducia alla Gay (per timore di essere tacciata di razzismo) e l'MIT si è trincerato dietro un silenzio inquietante e vigliacco. Ma lo scandalo non si è placato e la Gay è stata costretta a dimettersi anche in seguito ad accuse ben documentate di plagio e di inadeguatezza accademica. Rimane attaccata alla poltrona la presidente dell'MIT che è ebrea e quindi meno vulnerabile alle accuse di antisemitismo, ma ugualemnte responsabile del clima di intolleranza e di aggressione contro chi non si piega allo squadrismo woke.

Tuttaviale dimissioni dei vertici sono solo un piccolo passo verso il ripristino di un clima aperto alla discussione, privo di manie censorie e di libertà nell'accademia americana. E lo stesso processo dovrebbe estendersi anche all'Europa e soprattutto all'Italia dove le Università rimangono uno strumento di indottrinamento e di propaganda gestito da fanatici.


17 gen 2022

Le disfunzioni ataviche della ricerca italiana




Come è noto, per le burocrazie, al pari degli sciami di cavallette le risorse non bastano mai. I bilanci sono sempre insufficienti e il personale è sempre oberato di lavoro da smaltire.


La ricerca pubblica non fa eccezione. Anche prestigiosi esponenti del complesso accademico italiano, come il Premio Nobel Giorgio Parisi, intimano al governo di destinare cifre fantastiliardarie ai loro pet projects. Addirittura con "un piano quinquennale".

Tuttavia non è solo una questione di risorse. E' anche questione di gestione delle risorse. E su questo terreno il sistema pubblico italiano mostra delle evidenti pecche.

La selezione dei ricercatori è inadeguata, i concorsi universitari sono una piaga, gli enti di ricerca più che di laboratori si interessano di questioni da retrobottega. E mentre nel mondo è in corso una lotta senza quartiere per il predominio tecnologico nei settori chiave, in Italia si pensa a piazzare amici e parenti.