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28 ott 2021

La Censura Dei Social Media





Il Wall Street Journal ha iniziato da alcune settimane la pubblicazione dei Facebook Paper ottenuti tramite una whistleblower, ex dipendente del più famoso social network. Le migliaia di documenti sono poi stati passati anche ad altre 17 testate che li stanno esaminando. Per il più famoso social network del mondo, (che include anche Instagram e WhatsApp) emerge un quadro inquietante, che danneggia sia gli utenti che la società. Le accuse si incentrano sulla discriminazione degli utenti, la tolleranza per gli odiatori, la scarsa attenzione per gli effetti sull'autostima delle adolescenti, le interferenze nella politica.

Sempre il WSJ riportava che Google pratica commissioni sulla pubblicità digitale da due a quattro volte più onerose di quelle dei rivali. Quindi è palese che Google eserciti una posizione dominante su cui le autorità antitrust dovrebbero intervenire.



Ma più in generale il ruolo dei social media va inquadrato nell'influenza indebita che esercitano nel dibattito politico e nella libertà di espressione. La censura che essi esercitano senza alcun freno o controllo non può essere ulteriormente tollerata. I tentativi di riportare i social nell'alveo della legalità finora sono stati alquanto timidi: a livello federale il privilegio garantito dalla famigerata sezione 230 del Communication Decency Act non è stato mai seriamente contestato. Solo a livello statale, ad esempio in Indiana (https://immoderati.info/home-page/f/i...), si registra qualche iniziativa da cui però ancora non scaturisce alcun risultato.

Anche le reticenti audizioni di Mark Zuckerberg al Congresso o la recente testimonianza di una whistle blower sugli abusi di Facebook hanno scalfito lo strapotere dei giganti del web. Ian Bremmer su ha pubblicato su Foreing Affairs un lungo saggio (https://www.foreignaffairs.com/articl...) sui pericoli che queste entità rappresentano per la democrazia.

25 ott 2021

Elon Musk potrebbe diventare il primo trilionario della Galassia



Elon Musk ha dichiarato come obiettivo ultimo per SpaceX la creazione di una “civiltà spaziale multi-planetaria”, partendo dalla prima colonia terrestre su Marte. Tuttavia agli umani (che SpaceX già ha lanciato in orbita) servono capitali stratosferici per realizzare questa colonizzazione anche volendo partire solo dalla Luna. Pertanto Musk attraverso SpaceX intende installare una rete di satelliti (nota come Starlink) per assicurare servizi di telecomunicazione voce e dati in tutto il globo inclusi oceani e deserti, un mercato che vale circa 1 trilione di dollari all’anno. Starlink potrebbe diventare il 6G globale (visto che il 5G è partito male e finirà anche peggio), che risolverebbe anche l'annoso problema del digital divide. L’Unione internazionale delle telecomunicazioni, un'agenzia delle Nazioni unite, ha calcolato nel 2019 che il 48% della popolazione mondiale non avesse accesso a internet.



Il progetto è già decollato. Al momento, i circa 1.500 satelliti di Starlink rappresentano approssimativamente il 25% di quelli in attività. SpaceX ha piani precisi per altri 10mila e ha richiesto i permessi per un massimo di 42mila a un’orbita di 500 km, in modo da offrire connessioni ultraveloci, alternative alle attuali reti internet. Per di più Starlink permetterebbe di limitare l’accesso alla rete da Paesi ostili o da cui operano gli hacker dediti allo spionaggio tecnologico o al ransomware. Inoltre SpaceX potrebbe trasportare uomini e cose da un capo all’altro del mondo in poco più di mezzora, inclusi militari, droni con missili, robot armati e materiale bellico. Tanto per capire, qualora la Cina lanciasse un'invasione di Taiwan, dagli Usa potrebbero arrivare sull’isola i rinforzi prima che la flotta di Pechino passi lo Stretto. O magari i difensori americani potrebbe arrivare sul suolo della madrepatria cinese. Il Pentagono ha già opzionato la tecnologia. Magari Musk non vedrà la colonizzazione di Marte ma potrebbe diventare il primo trilionario nella storia della galassia.

24 ott 2021

Le violenze innescate dai social network





La rivolta violenta dei novax a Roma, con l'assalto alla sede della CGIL e proseguita per ore in forma di guerriglia urbana a pochi metri da Palazzo Chigi e dal Parlamento non è solo il risultato di una benevola tolleranza delle istituzioni verso gli estremisti nazifascisti che dura da anni (la sede di Casa Pound in un palazzo illegalmente occupato non è stata ancora sgombrata).

E' anche il risultato di una propaganda ossessiva veicolata dai social network che invece di contrastare queste derive eversive le cavalcano e le aggravano per aumentare le visualizzazioni, i click, i like e quindi i profitti. Un gioco al massacro in cui sguazzano e si saldano tutte le frange peggiori, dai centri sociali a Forza Nuova (passando per il clericalismo invasato diffuso da Radio Maria). Di fronte agli attacchi le autorità balbettano e si ritirano vigliaccamente. Le parole della Lamorgese in Parlamento sono state la conferma ufficiale della codardia di fronte alla masnada che ha assaltato la sede della CGIL.



Le manifestazioni non autorizzate dei portuali a Trieste (e in minor misura a Genova) e le continue provocazioni aggressive dei novax nelle strade di Milano sono l'ovvia conseguenza della mancanza di spina dorsale delle autorità nei confronti dei violenti che si alimentano di vetero sindacalismo, anarco insurrezionalismo, sovranismo, fascismo, millenarismo religioso, complottismo e soprattutto analfabetismo.

Inflazione, Stagflazione e Recessione







La pandemia di Covid-19 ha assestato un colpo basso all'economia mondiale che ha portato ad un tracollo come non si vedeva dai tempi di guerra. Da quando i primi germogli della ripresa sono spuntati i prezzi delle materie prime sono impazziti. La combinazione di stimoli fiscali senza precedenti (oltre 10 trilioni di dollari su scala planetaria), i consumi indirizzati verso i beni a discapito dei servizi (colpiti dal lockdown), gli scarsi investimenti nel settore minerario ed energetico, la mancanza di manodopera causata dalla generosità dei sussidi, la spinta alla decarbonizzazione, ha alimentato una dinamica inflazionistica come non si vedeva da oltre venti anni.

Inoltre le catene del valore globale a causa della difficoltà di trasporto sono state scardinate e ancora non vengono ripristinate appieno e forse mai lo saranno. Di conseguenza i colli di bottiglia di queste catene si spostano da un settore all'altro invece di attenuarsi. Una situazione che evoca i primi anni '70 e che lascia presagire una persistenza delle pressioni inflattive.

Con la Cina in forte rallentamento e gli Usa alle prese con l'offerta di lavoro falcidiata, i rischi di stagflazione stanno aumentando. Purtroppo le politiche monetarie irresponsabili perseguite dalla Fed (e dalla BCE), continuano con acquisti di titoli sul mercato al ritmo di 120 miliardi di dollari ogni mese.



Gli alti papaveri della Fed (e della BCE) insistono che l'impennata dell'inflazione sia temporanea e si sgonfierà una volta le dislocazioni della catena di approvvigionamento vengano risolte e il mercato del lavoro si depuri dalla sbornia dei sussidi. Anche nei primi anni '70 la teoria dell'inflazione passeggera veniva invocata come un mantra. "L'inflazione è alta e ben superiopre all'obiettivo (2%), eppure sembra esserci un rallentamento nel mercato del lavoro", ha dichiarato il presidente della Fed Jerome Powell in un forum della BCE.

A volere essere cinici, le banche centrali non sanno che pesci prendere perché i fattori principali che spingono i prezzi, vale a dire la transizione energetica, i buchi nella logistica, l'uscita dalla forza lavoro, la riqualificazone dei lavoratori, i lockdown in Cina, non possono essere constrastati dalla politica monetaria.

Per quanto è improbabile che si ritorni ad una stagflazione stile anni 70, le incertezze sul livello dei prezzi, unite alla fragilità del quadro politico americano (con un Presidente screditato e debole), iniziano a sollevare inquietudini difficili da dissipare. Anche una stagflazione light però sarebbe un problema dirompente perché al contrario degli anni 70 i debiti pubblici e privati a livello globale sono a livelli record.

3 ott 2021

Le Elezioni Tedesche e i Conti Italiani



Le elezioni che contano sul serio per il futuro dell'Italia non riguardano i sindaci delle maggiori città. Le elezioni che decideranno in modo determinante il destino dell'Italia si sono tenute due settimane fa in Germania e il loro esito finale è ancora incerto. Il Bundestag è frammentato come neanche Montecitorio nella Prima Repubblica mentre il kamasutra delle coalizioni potrebbe produrre intrecci alquanto insoliti. La Merkel (che il 27 settembre ha battuto il record di permanenza al vertice del potere nel dopoguerra) lascia un paese privo di ambizioni, che all'interno ristagna accontentandosi di una mediocrità nemmeno troppo aurea e all'esterno, sul piano diplomatico, conta meno della Turchia, e si prostra alla Cina.



La novità viene in larga parte dal voto giovane che ha premiato i liberali e i verdi, cioè i due partiti che per motivi diversi incarnano la voglia di cambiamento. Il partito liberale in particolare ha presentato un programma articolato in più di 600 idee che spaziano dal mondo del lavoro, alla politica estera, alla scuola, ai diritti civili, all'economia, alla salute ad una nuova Europa, più forte e più unita. Infatti con rara solerzia i leader di questi due partiti hanno iniziato i negoziati per presentarsi con richieste comuni a Olaf Scholz il leader socialdemocratico che probabilmente riuscirà a spuntarla nella corsa alla Cancelleria.

A Berlino si deciderà la nuova governance dell'Unione Europea, incluso il ritorno a regole di bilancio rigorose per i paesi indebitati. Infatti dal 2023 si dovrà introdurre un nuovo Patto di Stabilità per l'eurozona che inevitabilmente metterà sotto pressione la politica fiscale italiana perché andrà approvato all'unanimità. I paesi con i conti in ordine non saranno molto inclini a cedere di nuovo come hanno fatto in passato sull'onda emotiva della pandemia. Anzi chiederanno ragione di come sono state impiegate le risorse del Recovery Fund. Con la fine dell'era Merkel l'Italia perde una sponda fondamentale al tavolo dei negoziati a Bruxelles. I suoi successori non avranno quegli occhi di riguardo di cui i governi italiani hanno beneficiato per quasi 20 anni.

1 ott 2021

Intelligenti Pauca, Deficienti Aukus





Era noto da anni che il governo australiano non era affatto entusiasta di come procedeva la ricca commessa di nove sommergibili ordinati alla Francia per modernizzare il dispositivo di difesa delle coste. Quindi l'annuncio da Canberra sulla rescissione del contratto di fornitura non è stato un fulmine a ciel sereno. Però che a sostituire i sommergibili a propulsione diesel fossero gli americani con i loro sottomarini a propulsione nucleare era largamente inatteso. In passato gli USA sono stati molto riluttanti a fornire armamenti di tipo così avanzato ad altri paesi per quanto considerati amici. Inoltre l'annuncio contestuale di un'inedita alleanza tra Australia, UK e USA (Aukus) per contenere l'attivismo militare della Cina nell'Indo-Pacifico (dove la Francia ha un ruolo non secondario perché mantiene territori considerati parte del sacro suolo patrio) ha fatto deflagrare un contrasto politico-militare finora latente.



L'Aukus costituisce una chiamata alle armi degli alleati anglosassoni più affidabili (si nota l'assenza di Canada e Nuova Zelanda), ma contestualmente un avvertimento all'Europa. L'atteggiamento ambiguo nei confronti della Cina, coltivata sia dalla Cancelliera Merkel che dal Presidente Macron (per non parlare delle alzate di ingegno sulla Via della Seta del M5S) non sara' più tollerata da Washington. L'abbaglio sulla Cina che avrebbe col tempo abbracciato i valori della democrazia occidentale e del libero mercato ormai è un elemento del passato remoto. In un raro afflato bipartisan la classe dirigente (politica, imprenditoriale e militare) che forgia la politica estera secondo gli interessi della superpotenza ha stabilito che la Cina costituisce una minaccia esistenziale. Quindi ha impresso un'escalation alle misure di contenimento e di contrasto alle ambizioni neo-maoiste di Pechino. La scelta dei sottomarini nucleari per segnalare la fine della ricreazione non è casuale. In quel campo la Cina si trova in una posizione particolarmente vulnerabile perché non ha sistemi di difesa sonar adeguati. La fornitura di sottomarini nucleari all'Australia insomma è un richiamo alle responsabilità per tutta l'Unione Europea a cui Biden impone una scelta di campo sull'atteggimento da assumere verso la Cina.