E' ormai incontrovertibile che il Partito Comunista Cinese stia perseguendo una strategia di politica economica incentrata sull'espansione del settore manifatturiero e quindi dell'export. Una strategia indebitamente aggressiva che viola sfacciatamente lo spirito e la lettera delle regole che presiedono al commercio internazionale.
Pertanto Xi Jinping rifiuta di imprimere lo stimolo ai consumi privati che da più parti viene invocato come imprescindibile per lo sviluppo di un'economia moderna.
Ma se fino al 2001 (anno di ingresso della Cina nel WTO) il modello di crescita export-led poteva avere un senso perché le dimensioni dell'economia cinese erano ancora modeste, al giorno d'oggi un paese che conta per il 20% del commercio mondiale destabilizza tutta l'economia mondiale con una politica neo mercantilista.
Infatti la strategia di Xi Jinping incentrata su sussidi alla produzione ha spinto le imprese cinesi ad investire in macchinari e capacità produttiva. Di conseguenza la sovraproduzione che non può essere assorbita dal mercato domnestico viene riversata in dumping sui mercati internazionali provocando ritorsioni protezionistiche non solo nei paesi Ocse ma anche nei paesi emergenti e nei BRICS.
I dazi fino al 50% che l'UE ha imposto da oggi sulle importazioni di auto elettriche cinesi sono solo un palliativo che potrebbe essere aggirato facilmente se le case automobilistiche cinesi aprissero fabbriche in Europa.
I vertici del PCC sono convinti che lo stimolo ai consumi avrebbe due effetti perniciosi.
1) Darebbe un'impulso all'economia di mercato che sfugge al controllo dei pianificatori
2) Stimolerebbe l'importazione di beni con il rischio che la Cina si trovi nella stessa situazione delle economie latino-americane negli anni 80.
Nel frattempo la crisi politica scoppiata a #Taiwan tra il neo-insediato Presidente Lai Ching Te e il Parlamento dove i deputati filo cinesi hanno la maggioranza, lascia presagire che Pechino voglia inserirsi nelle diatribe dell'isola per ritagliarsi uno spazio di influenza pervasiva invece di ricorrere ad un'attacco o a un blocco navale.
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5 lug 2024
11 nov 2021
Dal Reddito di cittadinanza al Reddito di inclusione
Una delle straordinarie lezioni di Milton Friedman, semplice quanto grandiosa, è riassunta nella frase
"Se paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione". Tale frase andrebbe affissa sulla porta di ogni ufficio pubblico e scritta sulle pareti di ogni sala di riunioni di governo centrale ed ente locale oltre che nei saloni del Quirinale al posto degli arazzi.
In tal modo si capirebbe il disastro prodotto dal reddito di cittadinanza, il più gigantesco meccanismo di voto di scambio mai attuato nella millenaria storia italica delle malversazioni governative. Non a caso criminali di vario conio hanno approfittato della generosità pubblica. Il lavoro manuale unskilled ormai è un fenomeno raro, soprattutto al Sud, dove con i circa 700 euro a cranio di regalia si vive senza troppi patemi. E comunque, se proprio si viene colti da un'insopprimibile voglia di lavorare, la cosiddetta economia sommersa offre ampie occasioni per arrotondare.
Il governo ha sbattuto rumorosamente sul piatto la riforma di questo incentivo al parassitismo e al lavoro nero, ma le proposte (ovviamente avversate ferocemente dai referenti politici dei perdigiorno) sono palliativi che non incidono significativamente sulle storture del sistema.
In questo video di qualche anno fa insieme ad Alberto Forchielli avevamo presentato una proposta per rendere impiegabili coloro che effettivamente incontrano delle difficoltà nella transizione ad un nuovo mestiere o professione eliminando gli incentivi perversi del Reddito di cittadinanza.
In poche parole il sussidio pubblico dovrebbe essere impiegato per il training in un'azienda che necessiti di professionalità non facilmente reperibili sul mercato. Così si eliminerebbe anche il mismatch tra domanda ed offerta di lavoro che rappresenta un autentico scandalo dell'economia italiana.
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