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22 giu 2022

I salari non aumentano per decreto legge


La questione salariale, di fronte ad un'inflazione fuori controllo, ha scalato la lista delle priorità politiche.

Purtroppo il peso delle buste paga non dipende da complotti del Bilderberg, dall'avidità della finanza o da farneticazioni assortite che leggete sui blog, ma dall'efficienza del sistema economico e dalla tassazione (che in Italia ha assunto caratteristiche confiscatorie).




In un paese dove l'educazione economica è appannaggio di esigue nicchie, sarà difficile far comprendere alla gente che il salario non aumenta per decreto legge, ma riflette la produttività del lavoro oltra alla produttività totale dei fattori (che dipende in buona parte dai servizi pubblici e dalla dotazione di infrastrutture).

In un'economia dove uno lavora, uno regge la scala e tre guardano lo spettacolo (talora reggendo un secchio), difficilmente i salari potranno raggiungere livelli tedeschi o svedesi.

In termini semplici se la produttività ristagna, i salari italiani soprattutto nelle aziende poco innovative, non potranno che restare inchiodati agli attuali livelli nominali.

L'introduzione di salario minimo o di altre misure dirigiste produrrà due effetti: maggior ricorso al lavoro nero e bancarotta delle aziende meno efficienti.



20 giu 2022

Dopo un decennio di finanza allegra ritorna l'austerità triste



Le maggiori banche centrali del mondo hanno ignorato per mesi, anzi per anni, le inevitabili conseguenze nefaste di una politica monetaria iper espansiva (o, peggio, al servizio di miopi interessi politici). Il redde rationem è arrivato dopo una recessione profonda post pandemia e nel bel mezzo della guerra più brutale in Occidente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E' evidente che né Powell né la Lagarde sono in grado di affrontare la situazione che loro stessi hanno contribuito a creare insistendo stolidamente che l'inflazione sarebbe stata un fenomeno temporaneo.

L'Italia, dove la disciplina fiscale è un anatema, deve affrontare l'ennesimo shock epocale nel giro di 15 anni, con le finanze pubbliche disastrate e il tessuto economico slabbrato.

18 giu 2022

Cornuti e vaccinati: il Covid in Cina



L'attenzione dei media italiani sulla Cina negli ultimi mesi è svanita, un po' per lo spazio dedicato all'invasione dell'Ucraina, ma anche perché le notizie dal paese dove è iniziata la pandemia, non sono gradite al milieu intellettualoide che inneggia ai dittatori di ogni risma e colore.

Il governo di Pechino aveva pomposamente proclamato la completa eradicazione del Covid dalle sue lande grazie alla politica "zero-Covid" e aveva magnificato gli effetti del vaccino autarchico (probabilmente sviluppato rubando informazioni alle aziende farmaceutiche occidentali). Invece i laboratori cinesi non sono stati in grado nemmeno di copiare le formule e i processi: di conseguenza il vaccino inoculato a centinaia di milioni di persone si è rivelato un intruglio largamente inefficace.


Da Zero Covid ai lazzaretti

Da quando a febbraio la pandemia ha ripreso vigore decine di milioni di persone sono state costrette a subire un ferreo lockdown (il caso di Shanghai è il più famoso) e che ancora oggi perdura in metropoli sconfinate come Tianjin. Le restrizioni sono state sconvolgenti mentre i positivi sono stati internati in lazzaretti insalubri (ad esempio allestiti alla Fiera di Shanghai) dove il vero pericolo era il colera, non il Covid.

La clamorosa balla secondo cui le dittature sarebbero più efficienti delle democrazie nel gestire le emergenze e fornire soluzioni adeguate, è stata ancora una volta sbugiardata dagli eventi. I propagandisti delle autocrazie dovrebbero quindi finire nella cloaca della Storia. Purtroppo in Italia il terreno per la semina delle balle è sempre fertile e ben concimato dal letame ideologico sparso a piene mani dagli URSSini e dai Caciari.

2 giu 2022

Biden lancia la sfida a Xi Jinping su Taiwan

Biden ha mandato in frantumi 50 anni diplomazia estremamente accondiscendente (se non addirittura prona) verso la Cina, inaugurata da Kissinger e Nixon in funzione anti-sovietica. Promettendo un aiuto militare a Taiwan in caso di attacco dalla Repubblica Popolare, l'America avverte in termini brutali la potenza rivale di non avere alcuna remora a iniziare una nuova Guerra Fredda. E nemmeno una guerra calda, anzi incandescente. 

Per quanto poi dignitari dell'Amministrazione USA abbiano cercato di smussare l'impatto della dichiarazione del Presidente, asserendo che la politica della cosiddetta "ambiguità strategica" non sia cambiata, i cocci del Vaso di Pandora geopolitico non potranno essere rimessi insieme.


Un tema urticante

Il tema non poteva essere più urticante per i vertici della nomenklatura cinese. Da sempre Pechino ha assegnato alla riunificazione con l'isola dove si rifugiarono le truppe nazionaliste del Kuomintang una priorità degna di miglior causa. 

Xi Jinping ha più volte dichiarato in pubblico che intende riportare Taiwan (che è diventata la superpotenza dei microchip)  sotto il dominio della madrepatria (con le buone o con le cattive) entro il centenario della fondazione Repubblica Popolare Cinese. l'integrità territoriale è considerata dalla gerarchia comunista un elemento imprescindibile dell'identità cinese. L'indipendenza di Taiwan sarebbe uno smacco inaccettabile per il PCC, una ferita reminiscente delle umiliazioni inflitte all'Impero di Mezzo a partire dal 1840 dalle potenze coloniali europee nonché dal Giappone. 

Inversione di rotta

L'inversione di rotta sull'ambiguità strategica rappresenta un'altra conseguenza indiretta dell'invasione dell'Ucraina. L'appeasement verso tiranni e dittatori che anche Biden aveva perseguito fino al 24 febbraio, è finito finalmente nella pattumiera e il ricompattamento dell'Occidente a difesa dei diritti umani e dei valori democratici lascia ben sperare nel futuro.

Lasciare ampi spazi di manovra o, peggio, far finta di ignorare l'arroganza e le aggressioni degli autocrati sanguinari che odiano l'Occidente, nella speranza di blandirli e placarli, ha sortito inevitabilmente esiti nefasti. 

 

14 mag 2022

La rimonta del nucleare civile

L'energia nucleare è da sempre la bestia nera di un variegato e colorito mondo di ecologisti, scienziati, politici e attivisti politici. Fino a pochi anni fa sembrava che in Occidente fosse stata posta la pietra tombale su qualsiasi velleità di riprendere la costruzione di centrali nucleari.

Poi gli obiettivi e gli impegni presi nella Coop26 a Glasgow sulla transizione ecologica, o #decarbonizzazione che dir si voglia, hanno riacceso i riflettori sull'energia nucleare, segnato la sua rimonta e riattizzato le polemiche.

Questa volta però l'opposizione al nuclerare è stata contestata persino da eminenti ecologisti americani che hanno fatto pubblico atto di contrizione asserendo che la loro ostilità era largamente miope.

In altri termini sta facendosi strada la consapevolezza che limitare a 1,5 gradi l'aumento di temperatura media del pianeta e azzerare le emissioni di CO2 nel 2050 non sarà possibile senza un sostanziale apporto dell'energia nucleare.

Inoltre l'aggressione di Putin all'Ucraina ha reso urgente per l'Europa affrancarsi dalle importazioni di gas e petrolio dalla Russia e quindi paure e avversioni nell'opinione pubblica stanno attenuandosi.

Tuttavia non sarà facile superare le resistenze delle popolazioni locali e la sindrome NIMBY sulla localizzazione degli impianti nucleari e i siti di smaltimento delle scorie radioattive.

 

 

 

7 mag 2022

I soldati russi che si arrendono vanno ricompensati con cospicui premi in contanti


Secondo l'intelligence americana parecchi soldati russi si sono consegnati agli ucraini o si sono schierati al fianco dei cugini meridionali, perché disgustati dai loro ufficiali che «li hanno gettati nel tritacarne per Putin» senza rifornimenti e senza cibo. Insomma la voglia di combattere per un tiranno mafioso corrotto non è molto diffusa. Molti soldati provenienti dalla Siberia (i cui villaggi distano migliaia di chilometri e diversi fusi orari dal fronte), sono stati allettati da offerte di denaro per disertare dall'esercito russo. Hanno preferito deporre le armi piuttosto che finire inceneriti in un vecchio carro armato durante una guerra già persa

Far leva sul morale a terra

E' arrivato il momento di far leva sul morale a terra dei coscritti. Per mettere fine al conflitto in tempi brevi i soldati russi che si arrendono vanno ricompensati con grossi premi in contanti avendo in mente l'obiettivo di convincerne alcune decine di migliaia.



A chi sventola bandiera bianca va data una ricompensa di 50 mila dollari e, in caso lo voglia, anche una nuova identità con residenza permanente di un paese dell’Ue o degli Usa dove rifarsi una vita. I soldati andrebbero incentivati non solo ad abbandonare l’esercito, ma anche a consegnare materiale bellico. munizioni, carri armati, blindati, navi, elicotteri, aerei, rampe di lancio. Per esempio pagando 70 mila dollari per un carro armato, 100 mila per un elicottero, 300 mila per una rampa di missili, 1 milione per un aereo. 

Pace, non resa alla sopraffazione

Un trattamento economico generoso andrebbe proposto a ufficiali superiori che forniscano elementi utili a depotenziare le capacità offensive degli invasori. programma simile è stato già approvato dal parlamento di Kyiv, ma bisognerebbe che siano i membri della Nato a finanziarlo e sostenerlo. Sarebbe il modo migliore per arrivare ad una pace duratura, non a una resa alla sopraffazione.