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20 giu 2022

Dopo un decennio di finanza allegra ritorna l'austerità triste



Le maggiori banche centrali del mondo hanno ignorato per mesi, anzi per anni, le inevitabili conseguenze nefaste di una politica monetaria iper espansiva (o, peggio, al servizio di miopi interessi politici). Il redde rationem è arrivato dopo una recessione profonda post pandemia e nel bel mezzo della guerra più brutale in Occidente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E' evidente che né Powell né la Lagarde sono in grado di affrontare la situazione che loro stessi hanno contribuito a creare insistendo stolidamente che l'inflazione sarebbe stata un fenomeno temporaneo.

L'Italia, dove la disciplina fiscale è un anatema, deve affrontare l'ennesimo shock epocale nel giro di 15 anni, con le finanze pubbliche disastrate e il tessuto economico slabbrato.

18 giu 2022

Cornuti e vaccinati: il Covid in Cina



L'attenzione dei media italiani sulla Cina negli ultimi mesi è svanita, un po' per lo spazio dedicato all'invasione dell'Ucraina, ma anche perché le notizie dal paese dove è iniziata la pandemia, non sono gradite al milieu intellettualoide che inneggia ai dittatori di ogni risma e colore.

Il governo di Pechino aveva pomposamente proclamato la completa eradicazione del Covid dalle sue lande grazie alla politica "zero-Covid" e aveva magnificato gli effetti del vaccino autarchico (probabilmente sviluppato rubando informazioni alle aziende farmaceutiche occidentali). Invece i laboratori cinesi non sono stati in grado nemmeno di copiare le formule e i processi: di conseguenza il vaccino inoculato a centinaia di milioni di persone si è rivelato un intruglio largamente inefficace.


Da Zero Covid ai lazzaretti

Da quando a febbraio la pandemia ha ripreso vigore decine di milioni di persone sono state costrette a subire un ferreo lockdown (il caso di Shanghai è il più famoso) e che ancora oggi perdura in metropoli sconfinate come Tianjin. Le restrizioni sono state sconvolgenti mentre i positivi sono stati internati in lazzaretti insalubri (ad esempio allestiti alla Fiera di Shanghai) dove il vero pericolo era il colera, non il Covid.

La clamorosa balla secondo cui le dittature sarebbero più efficienti delle democrazie nel gestire le emergenze e fornire soluzioni adeguate, è stata ancora una volta sbugiardata dagli eventi. I propagandisti delle autocrazie dovrebbero quindi finire nella cloaca della Storia. Purtroppo in Italia il terreno per la semina delle balle è sempre fertile e ben concimato dal letame ideologico sparso a piene mani dagli URSSini e dai Caciari.

2 giu 2022

Biden lancia la sfida a Xi Jinping su Taiwan

Biden ha mandato in frantumi 50 anni diplomazia estremamente accondiscendente (se non addirittura prona) verso la Cina, inaugurata da Kissinger e Nixon in funzione anti-sovietica. Promettendo un aiuto militare a Taiwan in caso di attacco dalla Repubblica Popolare, l'America avverte in termini brutali la potenza rivale di non avere alcuna remora a iniziare una nuova Guerra Fredda. E nemmeno una guerra calda, anzi incandescente. 

Per quanto poi dignitari dell'Amministrazione USA abbiano cercato di smussare l'impatto della dichiarazione del Presidente, asserendo che la politica della cosiddetta "ambiguità strategica" non sia cambiata, i cocci del Vaso di Pandora geopolitico non potranno essere rimessi insieme.


Un tema urticante

Il tema non poteva essere più urticante per i vertici della nomenklatura cinese. Da sempre Pechino ha assegnato alla riunificazione con l'isola dove si rifugiarono le truppe nazionaliste del Kuomintang una priorità degna di miglior causa. 

Xi Jinping ha più volte dichiarato in pubblico che intende riportare Taiwan (che è diventata la superpotenza dei microchip)  sotto il dominio della madrepatria (con le buone o con le cattive) entro il centenario della fondazione Repubblica Popolare Cinese. l'integrità territoriale è considerata dalla gerarchia comunista un elemento imprescindibile dell'identità cinese. L'indipendenza di Taiwan sarebbe uno smacco inaccettabile per il PCC, una ferita reminiscente delle umiliazioni inflitte all'Impero di Mezzo a partire dal 1840 dalle potenze coloniali europee nonché dal Giappone. 

Inversione di rotta

L'inversione di rotta sull'ambiguità strategica rappresenta un'altra conseguenza indiretta dell'invasione dell'Ucraina. L'appeasement verso tiranni e dittatori che anche Biden aveva perseguito fino al 24 febbraio, è finito finalmente nella pattumiera e il ricompattamento dell'Occidente a difesa dei diritti umani e dei valori democratici lascia ben sperare nel futuro.

Lasciare ampi spazi di manovra o, peggio, far finta di ignorare l'arroganza e le aggressioni degli autocrati sanguinari che odiano l'Occidente, nella speranza di blandirli e placarli, ha sortito inevitabilmente esiti nefasti. 

 

14 mag 2022

La rimonta del nucleare civile

L'energia nucleare è da sempre la bestia nera di un variegato e colorito mondo di ecologisti, scienziati, politici e attivisti politici. Fino a pochi anni fa sembrava che in Occidente fosse stata posta la pietra tombale su qualsiasi velleità di riprendere la costruzione di centrali nucleari.

Poi gli obiettivi e gli impegni presi nella Coop26 a Glasgow sulla transizione ecologica, o #decarbonizzazione che dir si voglia, hanno riacceso i riflettori sull'energia nucleare, segnato la sua rimonta e riattizzato le polemiche.

Questa volta però l'opposizione al nuclerare è stata contestata persino da eminenti ecologisti americani che hanno fatto pubblico atto di contrizione asserendo che la loro ostilità era largamente miope.

In altri termini sta facendosi strada la consapevolezza che limitare a 1,5 gradi l'aumento di temperatura media del pianeta e azzerare le emissioni di CO2 nel 2050 non sarà possibile senza un sostanziale apporto dell'energia nucleare.

Inoltre l'aggressione di Putin all'Ucraina ha reso urgente per l'Europa affrancarsi dalle importazioni di gas e petrolio dalla Russia e quindi paure e avversioni nell'opinione pubblica stanno attenuandosi.

Tuttavia non sarà facile superare le resistenze delle popolazioni locali e la sindrome NIMBY sulla localizzazione degli impianti nucleari e i siti di smaltimento delle scorie radioattive.

 

 

 

7 mag 2022

I soldati russi che si arrendono vanno ricompensati con cospicui premi in contanti


Secondo l'intelligence americana parecchi soldati russi si sono consegnati agli ucraini o si sono schierati al fianco dei cugini meridionali, perché disgustati dai loro ufficiali che «li hanno gettati nel tritacarne per Putin» senza rifornimenti e senza cibo. Insomma la voglia di combattere per un tiranno mafioso corrotto non è molto diffusa. Molti soldati provenienti dalla Siberia (i cui villaggi distano migliaia di chilometri e diversi fusi orari dal fronte), sono stati allettati da offerte di denaro per disertare dall'esercito russo. Hanno preferito deporre le armi piuttosto che finire inceneriti in un vecchio carro armato durante una guerra già persa

Far leva sul morale a terra

E' arrivato il momento di far leva sul morale a terra dei coscritti. Per mettere fine al conflitto in tempi brevi i soldati russi che si arrendono vanno ricompensati con grossi premi in contanti avendo in mente l'obiettivo di convincerne alcune decine di migliaia.



A chi sventola bandiera bianca va data una ricompensa di 50 mila dollari e, in caso lo voglia, anche una nuova identità con residenza permanente di un paese dell’Ue o degli Usa dove rifarsi una vita. I soldati andrebbero incentivati non solo ad abbandonare l’esercito, ma anche a consegnare materiale bellico. munizioni, carri armati, blindati, navi, elicotteri, aerei, rampe di lancio. Per esempio pagando 70 mila dollari per un carro armato, 100 mila per un elicottero, 300 mila per una rampa di missili, 1 milione per un aereo. 

Pace, non resa alla sopraffazione

Un trattamento economico generoso andrebbe proposto a ufficiali superiori che forniscano elementi utili a depotenziare le capacità offensive degli invasori. programma simile è stato già approvato dal parlamento di Kyiv, ma bisognerebbe che siano i membri della Nato a finanziarlo e sostenerlo. Sarebbe il modo migliore per arrivare ad una pace duratura, non a una resa alla sopraffazione.


Il sistema mafioso di Putin



Putin non è solo un autocrate fanatico e senza scrupoli. E' soprattutto un agente del KGB di scarso prestigio, rozzo, ignorante e brutale, che ha scalato i vertici del potere grazie ai legami con la mafia e a un gigantesco apparato corruttivo messo in piedi personalmente a Leningrado sfruttando la posizione che ricopriva nell'Amministrazione Municipale. Probabilmente Putin ottenne quel ruolo chiave grazie alle connessioni sia con il KGB che con la mafia, che all'epoca agivano spesso in tandem. I segreti inconfessabili del Cremlino che sono costati la vita ai pochi che li conoscono o li hanno investigati sono stati rivelati in dettaglio da Craig Unger nel libro "Casa di Putin, Casa di Trump".



La mafia russa si installò in America sin dagli anni '70, quando gli Usa e l'Urss negoziarono un accordo per permettere agli ebrei di emigrare in America e sfuggire alla repressione comunista. Come era nello stile dei banditi installati al Cremlino tra gli ebrei vennero infiltrati agenti del KGB e criminali comuni che avrebbero esportato i metodi delle organizzazioni malavitose forgiatesi nelle durissime carceri siberiane. Infatti appena arrivati a New York le bande di assassini iniziarono a taglieggiare la comunità di immigrati dall'Urss che si era stabilita nel sobborgo di Brighton Beach Era il sobborgo dove operava il padre di un certo Donald Trump, ma questa è un altro lato della storia che affronteremo a suo tempo.

I mafiosi russi alla caduta del comunismo

Alla caduta del comunismo questi mafiosi russi ristabilirono i rapporti con la madrepatria con l'intento di estendere la rete delle loro attività criminali. A Leningrado trovarono terreno fertile e cosche mafiose già fiorenti. Ad una di esse era affiliato l'allenatore di judo di Putin. Nel suo libro autobiografico, "Prima Persona", il tiranno parla con affetto di Leonid Ionovich, o Lyonya, il soprannome di tal Leonid Ionovich Usvyatsov. Nelle pagine del libro Putin spesso omette il cognome dell'allenatore una figura influente nella sua vita. La ragione di tale "smemoratezza" è facile da intuire: voleva evitare che si sapesse chi esattamente fosse Lyonya. Infatti sulla lapide di Leonid Ionovich Usvyatsov nel cimitero di San Pietroburgo è scritto: “Potrei essere morto, ma la mafia è immortale”.

San Pietroburgo fu la prima città russa dove si realizzarono le privatizzazioni. Sfruttando la sua posizione relativamente defilata di Vicesindaco di San Pietroburgo e Presidente della commissione per gli affari esteri (KVS), ottenne il mandato di regolamentare le licenze agli investimenti esteri in enormi imprese precedentemente pubbliche. Azzerato il sistema di razionamento sovietico le autorità avevano un disperato bisogno di trovare beni con cui riempire gli scaffali dei negozi.

Il potere di Putin nel Municipio di San Pietroburgo 

Per questo motivo Putin aveva acquisito il potere di determinare chi poteva diventare ricco a San Pietroburgo e in Russia durante la turbolenta fase di disfacimento dell'Urss. Per sfruttare al meglio questo potere organizzò un apparato corruttivo senza uguali, come spieghiamo nel video qui in basso.
Da quell'ignobile furto di ricchezze pubbliche, dalle complicità incrociate che ne derivarono e dai legami inconfessabili nella nomenklatura sovietica cominciò la frenetica scalata alla Presidenza della Federazione Russa approfittando dell'avanzato stato di alcolismo e della debolezza di Yeltsin.
Una scalata propiziata da forze oscure presenti nella chiesa ortodossa e tra i fanatici del panslavismo, rimasti in ombra ma pur sempre influenti durante il regime sovietico.

E' una cultura diffusa tra le masse ignoranti, il cui unico sollievo ad una vita miserabile si concretizza nell'illusione della Santa Madre Russia, un impero accerchiato e minacciato. E' una mistificazione plurisecolare diffusa da Pietro il Grande a Alessandro III fino a Stalin e Putin. Si trascinano così in questa abiezione di dipendenza dallo Stato o da un padrone dalla culla alla bara, in cui la libertà non è un valore rispetto alla probabilità di un pezzo di pane quotidiano, Erano servi della gleba all'inizio del 900 e lo sono ancora intellettualmente e moralmente.